lunedì 28 febbraio 2011

Andrea Zanzotto per rEsistere

LORENA ORAZI e LUISA VETTOR risposte civili a luoghi comuni sul carcere

libero esercizio creativo di
Lorena -responsabile Attività Rieducative al Due Palazzi e
Luisa-Segreteria Magistrati di Sorveglianza Tribunale di Padova.
l'intervento, presentato nella giornata di r-Esistere, è una testimonianza intelligente di due donne per le quali il carcere è un impegno quotidiano
è stato applaudito con calore
vi invitiamo a leggerlo

LORENA Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (Art. 27 Costituzione italiana)
LUISA Non credo al ravvedimento dei detenuti. Fingono solamente per ottenere dei benefici
LORENA Mantenere un detenuto in carcere costa caro e la condanna comunque prima o poi finisce. Le ricerche fatte sulla recidiva dimostrano che le persone che fruiscono di misure alternative tornano a delinquere meno di coloro che scontano per intero la pena: è più conveniente puntare sul riscatto sociale.
LUISA Permessi premio e misure alternative al carcere? Bisognerebbe buttare via la chiave delle celle!
LORENA La maggior parte delle misure alternative ha un esito positivo. Incarcerare significa togliere la libertà, ma non cancellare dalla società un individuo.
LUISA Gli assassini dovrebbero essere giustiziati, ai ladri bisognerebbe tagliare le mani, gli stupratori dovrebbero essere evirati!
LORENA Occhio per occhio dente per dente è un principio superato e poco utile. Nei Paesi dove esiste la pena di morte, come negli Stati Uniti, non è stata eliminata la criminalità anzi i crimini violenti sono addirittura più frequenti.
LUISA Diritto a coltivare gli affetti familiari? Alle famiglie potevano pensare prima di finire in galera.
LORENA I figli, le mogli, le compagne, i genitori sono sempre anche loro vittime dei reati. Come i familiari delle vittime soffrono a causa di azioni che non hanno compiuto ma di cui pagano un prezzo altissimo.
LUISA I familiari soffrono ingiustamente per la lontananza dai loro cari? Probabilmente se sono finiti in carcere è anche per colpa delle loro famiglie.
LORENA Sei ore di colloquio al mese e 10 minuti di telefonata a settimana: questa è la possibilità concreta di mantenere vivi gli affetti. Quante famiglie riescono ad arrivare a fine pena?
LUISA Diritto alla salute? Ma se appena stanno male vengono portati in ospedale, mentre noi che non abbiamo commesso reati dobbiamo aspettare mesi per ottenere una visita!
LORENA Quando un detenuto viene portato in ospedale spesso è già troppo tardi. A volte l’idea è che i detenuti siano dei “simulatori” e che quindi non vanno curati ma “smascherati”.
LUISA Diritto al lavoro? Li manderei a spaccare pietre con le catene ai piedi!
LORENA Probabilmente molti detenuti accetterebbero pur di uscire dalla cella. A Padova, in media, un detenuto lavora una o due volte l’anno a rotazione e guadagna circa 100/120 euro.
LUISA Fanno lo sciopero della fame perché non vengono rispettati i loro diritti fondamentali? Perché n on li lasciano morire di fame!
LORENA Lo sciopero della fame è una manifestazione pacifica, spesso utilizzato per opporsi all’indifferenza vera o presunta dell’istituzione. Dal 2000 al 2011 (dati aggiornati al 15 febbraio scorso) nelle nostre confortevoli carceri sovraffollate ci sono stati 1753 morti di cui 635 suicidi.
LUISA Hanno la televisione in cella, cambiano loro le lenzuola, preparano loro pranzo e cena, vivono come in un albergo!
LORENA L’Hotel Due Palazzi era nato con 350 stanze singole, poi sono stati messi due letti in ogni stanza e ora è stato aggiunto il terzo letto… così adesso sono circa 900 gli ospiti, destinati a diventare più di mille, con soggiorni che variano da qualche anno fino all’ergastolo. Il costo richiesto a ogni detenuto è di circa 3,00 euro al giorno: è un albergo piuttosto conveniente… siete interessati?
LUISA Vai in carcere a parlare con i detenuti e dai loro anche la mano? Ma non hai paura che ti possano fare del male o di prenderti brutte malattie?
LORENA Sarà perché immaginiamo i detenuti come nei film, ma vi posso garantire che sono proprio uomini e donne di normale aspetto. Ci sentiremmo più “al sicuro” se davvero fossero riconoscibili?
LUISA Sabato parteciperai a una giornata di sensibilizzazione sul carcere? Ma non hai proprio niente di meglio da fare di sabato?
LORENA Sì, un sacco di cose, ma penso valga la pena provare a non dimenticare che il carcere è un pezzo della città e che lì vivono persone che prima o poi torneranno a essere libere e a far parte della nostra società.
LUISA Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato (Art. 27 Costituzione italiana)



Fernando Marchiori per rEsistere: Carne in scatola

Nel percorso che portò alla pubblicazione del volume Megaloop. L'arte scenica di Tam Teatromusica (Titivillus 2010) – due anni di lavoro, il confronto con molti testimoni, artisti, studiosi, e in particolare con Antonio Attisani, Cristina Grazioli, Riccardo Caldura e Veniero Rizzardi – si pose subito la questione di come trattare, all'interno dell'articolata produzione Tam, lo specifico del Teatro Carcere. A differenza dell'Archivio Tam, che parallelamente Pierangela Allegro e Michele Sambin andavano completando e nel quale fu realizzata una raccolta a sé stante delle produzioni "carcerarie" in sei dvd, nel libro si decise di comune accordo di non affrontare questa declinazione del lavoro Tam in una sezione a parte, perpetrando anche in sede critica la segregazione e la separatezza già subite nei seminari e negli allestimenti reclusi. Il discorso su Tam Teatrocarcere è così affiorato liberamente all'interno dei diversi contributi teorici e della ricostruzione storica che andavamo tessendo con andamento a spirale, in un loop sempre aperto di temi, forme, linguaggi, domande. Sono convinto che è stata la scelta giusta e che il teatrocarcere ha avuto in questo modo un'attenzione e una comprensione altrimenti impossibili.
Se ripenso oggi all'esperienza Tam Teatrocarcere, un'immagine s'impone sulle altre: carne in scatola. Non solo per l'idea di quei corpi grami costretti in celle anguste e respiri corti, ma soprattutto perché questa era l'espressione usata da Sambin quando Tam realizzò quella meraviglia delle MeditAzioni, incarnando nei detenuti del Due Palazzi gli affreschi giotteschi della Cappella Scrovegni. Di fronte al mancato permesso d'uscita dei detenuti per presentare lo spettacolo all’esterno del carcere, Michele e Pierangela decisero – con la rabbia e la determinazione di un gesto che era già esso stesso teatrale – di riprendere con la videocamera quei corpi e quei volti per portarli fuori lo stesso, per farli evadere tutti, almeno virtualmente: carne nelle scatole dei monitor, protagonisti nella loro assenza forzata.
Basta questa esperienza, tra le tante, di Tam nel carcere padovano per ribadire l’importanza del teatro per i detenuti e per la stessa istituzione carceraria. È convinzione comune a operatori, artisti, studiosi, suffragata dalle numerose e diverse pratiche diffuse in Italia, che nel teatro i detenuti possono “lavorare su di sé” e uscire dalla propria condizione psicologica, scoprire altri aspetti della propria personalità; in quel gioco di ruoli che è il teatro possono impostare nuove relazioni tra di loro e con l’istituzione; l’istituzione stessa può, attraverso queste attività, presentarsi con un volto diverso, affrontare situazione di conflitto, aprirsi al territorio, perfino produrre qualcosa da portare all’esterno, da “vendere”.
Ciò che tuttavia mi sembra fondamentale è il fatto che il teatro in carcere serve anche al teatro stesso. Questa terra di mezzo tra dentro e fuori, tra guardie e ladri, questo spazio sospeso tra inclusione ed esclusione è essenziale per gli artisti quanto per i detenuti. È un “terzo paesaggio” dei rapporti sociali nelle cui sfrangiature e porosità s’incontra una banda di “non integrati”, di marginali in modi differenti ma corrispondenti. Un terzo paesaggio in cui lo spazio del conflitto diventa interiore per sublimare l’ordine sociale e violare l’ordine del discorso. Un terzo paesaggio in cui il panopticon foucaultiano viene rovesciato e il teatro da luogo della visione concentrica diventa sguardo moltiplicato e interrogante verso il fuori. Un terzo paesaggio anche della pratica attorale, pericolosamente in equilibrio tra le due dimensioni estreme che Grotowski ha definito teatro della rappresentazione e arte come veicolo. Una sfida per lo stesso discorso critico, costretto a inventare strategie di avvicinamento alternative a quella che Antonio Attisani chiamerebbe una “critica giudiziaria”.
In questo spazio non vuoto, ma anzi ingombro delle macerie di tante esistenze, il teatro porta forme, linguaggi, domande, e incontra inquietudini, energie, vita pulsante. Ciò di cui ha sempre profondamente bisogno. È il motivo artistico (altrettanto essenziale di quello etico) per cui il teatro va da sempre in cerca dei “diversi”, siano essi i carcerati o gli handicappati, i matti o gli immigrati. Scriveva Artaud in una delle sue deliranti lettere alla posterità – Artaud il matto, il recluso, il santo patrono del teatrocarcere – che danzare, fare teatro è soffire il mito, e dunque sostituirlo con la realtà. Ecco, quella carne in scatola, quei corpi conformati alle posture giottesche incarnano miti perché li soffrono, rianimano grandi storie mentre le patiscono, riportano il fuoco dentro le tecniche facendo rinascere il teatro.
Fernando Marchiori

il Gazzettino - presentazione di r-Esistere

presentazione di r-Esistere da Il Gazzettino 26 febbraio 2011


http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/padova-teatro-in-carcere-tagliati-i-fondi-un-appello-a-nome-dei-detenuti

PAOLO COLTRO il Mattino di Padova

Articolo che approfondisce il tema "Iniziative socio educative nelle carceri venete" di Paolo Coltro pubblicato su la Nuova Venezia e il Mattino di Padova 24 febbraio 2011

http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/veneto-la-regione-ha-azzerato-le-risorse-per-le-attivita-educative-rivolte-ai-detenuti

Piero Ruzzante interrogazione in Consiglio Regionale

Consiglio regionale del Veneto
Gruppo Partito Democratico Veneto
COMUNICATO STAMPA
Venezia, 25 febbraio 2011

PROGETTI EDUCATIVI PER I CARCERATI. FINANZIAMENTI AZZERATI.
RUZZANTE (PD): “SCELTA VERGOGNOSA A INSAPUTA ONLUS”

“E’ vergognoso che, all’insaputa delle associazioni interessate, la Giunta regionale abbia deciso di azzerare i finanziamenti e dunque il bando per i progetti educativi a favore dei carcerati”.
A dirlo è il consigliere regionale del PD, Piero Ruzzante, primo firmatario di un’interrogazione rivolta alla Giunta Zaia e sottoscritta anche dalla capogruppo Laura Puppato e dal vice presidente della commissione sanità e sociale, Claudio Sinigaglia.

“Fino allo scorso anno – ricordano gli esponenti democratico - il bando era finanziato con una cifra pari a 400 mila euro, somma modesta ma che tuttavia era preziosa per la realizzazione delle attività che le circa 30 onlus venete portavano avanti con grande entusiasmo. Attività ed iniziative che sono di enorme importanza per la qualità della permanenza all’interno dei penitenziari e per il reinserimento sociale dei detenuti”.

Nel testo dell’interrogazione viene stilato un lungo elenco di associazioni rimaste vittime dei tagli, dalle padovane ‘Il Granello di Senape’ (che ha creato la rivista ed il sito internet Ristretti Orizzonti) ‘Tam Teatromusica’ (che gestisce attività teatrali per i detenuti del Due Palazzi di Padova) e ‘Altracittà’ (che si occupa della biblioteca del carcere padovano) senza dimenticare le onlus veneziane (‘La Gabbianella’, ‘Novamedia’, ‘Rio Terà dei Pensieri’, la stessa Caritas Diocesana), quelle trevigiane (‘Alternativa Ambiente’, ‘Servire’, ‘UISP’) e ben sette associazioni veronesi.

“Una scelta, quella della Regione, che nemmeno una realtà come l’assessorato ai servizi sociali di Padova ha fatto, benché si trovi in difficoltà economiche legate al vincolo del patto di stabilità. Però la stessa Giunta Zaia non si fa problemi nell’elargire (alla trevigiana ‘Marcaoggi’) ben 9 mila euro all’anno per pubblicare le proprie notizie su una rivista bimestrale dell’Unione gelatieri italiani in Germania o nel dare all’associazione ‘Oriundi Veneti’ 24 mila euro per pubblicare sulla rivista ‘Infoveneto’, che esce 4 volte l’anno, sei pagine di notizie sulla Regione”.

Con l’interrogazione Ruzzante ed il gruppo del PD chiedono quindi alla Giunta “se intenda, con urgenza, porre rimedio a questa situazione stanziando una cifra almeno pari a quella che veniva elargita negli anni scorsi”.

COORDINAMENTO NAZIONALE TEATRO IN CARCERE

a)Documento preparatorio condiviso dai Promotori
per leggere il documento cliccare qui

Vito Minoia per il blog rEsistere



Con la rivista “Teatri delle diversità” abbiamo cercato negli ultimi quindici anni di seguire il lavoro in carcere del Tam Teatromusica ..
È del 2000 il quaderno per il numero 13/14 di Giuseppe Mosconi che, attraverso preziose pagine di diario, ha descritto il clima dell’incontro europeo “Dentro/Fuori” organizzato all’interno del carcere Due Palazzi e al Teatro Maddalene da Michele Sambin e Pierangela Allegro.
Nell’ultimo numero, il 54/55 pubblicato a novembre 2010, Valeria Ottolenghi è tornata a descrivere, prendendo spunto dal libro Megaloop, recentemente curato da Fernando Marchiori per Titivillus Edizioni, l’assoluta purezza visiva e la colta ironia oltre il limite di categorie e generi nei trent’anni di lavoro del Tam.
Con Emilio Pozzi e Claudio Meldolesi, nell’estate del 2009, andando a pubblicare il volume “Recito, dunque so(g)no. Teatro e carcere 2009”, una prima radiografia del Teatro e carcere in Italia, abbiamo considerato quella attualmente condotta da Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi come una delle esperienze più significative del panorama nazionale.
Certo di confermare anche a loro nome quel giudizio di valore che dovrebbe far arrossire chi oggi sta tentando di cancellare con un colpo di spugna il patrimonio di un’esperienza da considerare “bene collettivo di grande rilievo”, vorrei riportare sul vostro blog, con il titolo “Essere per sognare, sognare per essere” le due pagine introduttive di quella pubblicazione che rimane ancora oggi un punto di riferimento.
Un contributo anche per sentire ancora una volta vicino a noi Claudio ed Emilio che ci hanno lasciato negli ultimi due anni.

ESSERE PER SOGNARE
SOGNARE PER ESSERE
per leggere il contributo cliccare qui

domenica 27 febbraio 2011

Esercizio di rEsistenza di Cristina Grazioli

Esercizio di rEsistenza di Cristina Grazioli

Tengo fede a quanto auspicato nell'intervento di ieri sera alle Maddalene (non chiudere le riflessioni a giornata conclusa) e contribuisco al blog rEsistere (ma per favore: utilizziamo – almeno tra noi! - un termine meno orrendo di 'postare'... c'è solo l'imbarazzo della scelta: inserire, contribuire con, aggiungere, scrivere, affiggere, inviare... regalare, offrire, prestare... rEsistiamo anche su questo piano!) :-)

Stringo quanto possibile i raccordi tra i vari pensieri, credo le citazioni siano eloquenti (riporto qui anche quelle che mi ero annotata e che, per questioni di tempo e d'occasione, ieri non ho letto).

Premessa: guardando questo blog ieri mattina mi ha “contagiata” il clima costruttivo dell'iniziativa: pur nella consapevolezza della gravità della situazione, nessun intervento distruttivo, invece apporti creativi, energici, guidati da un pensiero attivo...

Ho elaborato 4 pensierini, “esercitandomi” come richiesto da Claudia...
1. Il primo è un riferimento ad un autore poco in voga (apprendo in quest'occasione da internet che sono usciti alcuni volumi negli ultimi anni, forse la mia impressione è da correggere, ma solo parzialmente). Si tratta di Herbert Marcuse e di un libro studiato ai tempi dell'Università (da studente); e già allora – fine anni Ottanta - non proprio di moda. Il libricino è del 1977, La dimensione estetica. Le citazioni sono queste (dall'edizione italiana, trad. di Federico Canobbio-Codelli, Mondadori, 1978; nei ringraziamenti, tra gli altri, Marcuse cita Reinhard Lettau che «ha dimostrato come sia ancora possibile oggi fare della letteratura autentica, di resistenza»):

per leggere l'intervento di Cristina Grazioli  esercizio di rEsistenza di Cristina Grazioli

Natalino Balasso e Mirko Artuso per rEsistere

sabato 26 febbraio 2011

Sabato 26 Febbraio dalle 15.30 Teatro delle Maddalene


(Per ingrandire l'immagine cliccarci sopra, poi cliccare ancora una seconda volta)

Elena Ribet per rEsistere

Quando si tenta di mettere a tacere la cultura, si pronuncia una condanna di oblio e di ignoranza per se stessi e per il mondo. Il destino delle persone recluse, delle persone marginalizzate, delle persone innocenti oppure colpevoli, ci riguarda per molte ragioni. Dall’intreccio con il destino di chi è “fuori”, a quello con i familiari, fino alle questioni sociali e gestionali che riguardano il carcere, nonché la “nuova vita” di chi, riabilitato o no, esce dal carcere. Il non-tempo e il non-luogo, concetti che possono essere compresi solo dall’interno, ci riguardano anche a livello esistenziale. Ed è proprio questo livello, umano e umanizzante, che rischia di essere perduto quando la cultura e l’arte vengono esse stesse imprigionate. Le chiavi della cultura e dell’arte non possono essere gettate via, né possono essere custodite in una cassaforte chissà dove e poi dimenticate. Le chiavi della cultura vanno duplicate. Devono diventare veicolo di una trasformazione collettiva che sia salvifica nel presente e nel futuro. Per questo non può dipendere solo da qualcosa di materiale come l’economia, ma deve dipendere da qualcosa di molto più profondo, cioè la volontà.
Volontà delle singole persone, volontà politica e civile. Un desiderio fecondo di salvare la cultura che deve valere sempre e intervenire a tutto campo, dalla scuola dell’infanzia all’università, dal carcere ai quartieri, fin dentro il cuore delle città, nelle istituzioni e, perché no, nelle strade. Quando poi quel desiderio di cambiamento positivo contaminasse la televisione, si darebbe una spinta straordinaria a costruire la nuova Italia. Una nuova Italia fatta di diritti per tutti e tutte, di risveglio culturale e artistico, insomma di quello che Giorgio Gaber avrebbe chiamato un umanesimo nuovo, “con la speranza di veder morire questo nostro medioevo”.

venerdì 25 febbraio 2011

Gianfranco Bettin per rEsistere

Ho girato abbastanza, in questi anni, per le prigioni del Veneto, approfittando di un ruolo istituzionale, e ho potuto vedere con i miei occhi la scia del "teatro carcere", e non solo a Padova, dove è stata generata, ma anche nelle altre realtà recluse, dove se ne parla e dove ce ne sarebbe bisogno.

Che la politica, o la sua avara padrona attuale, l'economia, decidano che questa scia è tempo di dissolverla, dimostra che la vera signoria sul presente la esercita in realtà il cinismo, e che la lungimiranza è stata ormai bandita da una certa visione pubblica, essa sì prigioniera di ristretti orizzonti mentali e culturali (al contrario della rivista omonima, compagna di strada anche del "teatro carcere", vero spazio di libertà e di capacità di immaginazione).

Il Tam ha molto, moltissimo sperimentato, in molti anni di lavoro. Di questa forza innovativa ha fatto un "classico" della nostra cultura contemporanea. Il "Teatro carcere" è uno degli episodi cruciali di questa vicenda, che è anche tutta nostra, di chiunque viva con creativa inquietudine il nostro tempo.
Per questo vogliamo difenderlo.


Gianfranco Bettin

Mafra Gagliardi per rEsistere

Ho visto tutti - o quasi - gli spettacoli prodotti dal TAM attraverso l'attività condotta in carcere. Ogni volta mi sono trovata di fronte a una forma di teatro che risponde a un'autentica urgenza di espressione /comunicazione. Un'esperienza forte, un teatro "necessario", che coinvolge in profondità attori e spettatori. Non riesco a capire come in un panorama culturale spesso all'insegna della vacuità e del velleitarismo non si provveda a sostenere un'iniziativa che va nella direzione opposta. E perciò carica di senso, utile e preziosa.

Mafra Gagliardi

Riflessioni dal carcere raccolte negli anni dal Tam


Quasi sempre la detenzione è fatta di ozio e noia che spogliano l’essere umano di tutte quelle iniziative e idee, di quella voglia di fare e di proporsi che sono insite nella sua natura.
L’essere detenuto è come essere in standby c’è bisogno di qualcuno che ti dia l’avvio l’input, e questo è anche il teatro.
Mi piace pensare ad un atleta fermo ai blocchi di partenza che aspetta lo start.
Ecco il teatro è quello sparo che ti fa partire indipendentemente da quanto tu abbia aspettato.

Avrei tanto bisogno di dire....

Vasco Mirandola ... dal suo spettacolo "Avrei Tanto Bisogno di Dire"

Che ne sai tu


Che ne sai tu... della fatica per liberarsi di uno sbaglio
Caro mio, che ne sai, tu. di tutta la fatica che bisogna spendere per scrollarsi di dosso la
pesantezza dello sbaglio. Quello sbaglio afferrato e vissuto con l'illusione leggera del prestito, e poi sopportato con l'ingiustizia dei strozzini per millequattrocentoquaranta minuti al giorno, ogni giorno. Che ne sai di come sia difficile la strada quando il fiato pretende il ritmo dell'affanno, quando l'acquolina in bocca diventa sputo, quando l'età si toglie il disbrigo della conta, e quando l'uso e l'abuso dell'ingiusto diventa impellente come il pane quotidiano. Che ne sai, tu, dei temporali travestiti da sole, che fingono di compiacerti il panorama e poi ti spengono la luce, e al buio, ti bastonano fino a farti ammalare di tristezza eterna. Che ne sai, tu, di tutte le dita puntate sulle spalle, delle lingue che frustano la schiena, e della maldicenza che avvolge la tua storia col fango, impedendoti così di galleggiare sull'ipotesi di una rinascita. Che ne sai. dei morsi e dei rimorsi ingoiati e fatti girare dentro le indigestioni della coscienza.
Mille volte maledizione al nostro sbaglio, mille volte perdono a chi lo ha dovuto subire.. Che ne sai, tu. dei piccoli grandi successi capaci di ribaltarti la storia e allargarti il sorriso. A volte basta poco: un piccolo sostegno, una stampella di fiducia, una mano allungata senza il guanto del sospetto. Con la generosità di un gesto si può abbassare la salita, resuscitare un figlio, riscoprire una madre, un padre, e si può persino sbugiardarsi il peso morto di una rassegnazione.
Che ne sai, di come una pianta secca possa inventarsi un fiore, e poi un seme, e poi altri fiori, e tutti, rammentando gli inciampi trascorsi, accuratamente cresciuti con l'attenzione del petalo. Che ne sai, tu. della storia di una testa bassa che mette un piede oltre la vergogna, e si concede di diventare fronte. Fronte per millequattrocento quaranta minuti al giorno, ogni giorno. Sapessi quanta fatica si è costretti a spendere, prima di raggiungere e conquistare la sensazione del riscatto. Basta un niente per ricadere, ci vuole una vita per risorgere. . L'importante è crederci, insistere, non mollare mai. Sempre e assolutamente, con dignità! Che ne sai. e se lo sai, bé, allora ti chiedo scusa, e prova a comprendere il mio timore per tutta la miseria del non sapere
altrui.




di Pino Roveredo

Giuliano Scabia per rEsistere

riflessioni dal carcere



...in quelle ore di teatro non mi sento di stare i carcere, mi confronto con le persone esterne, riesco a esprimere quello che voglio, è una cosa che ci aiuta molto perché
facendo molta galera ci chiudiamo, la nostra mente si congela, ci chiudiamo in noi stessi.
Invece frequentando il teatro trovi il modo di riaprirti.
...Dopo tanti ani di galera perdi la sicurezza in te stesso, invece quando lavoro con questi ragazzi mi sento più sicuro, ci incoraggiano anche psicologicamente, ci allenano a fare la vita normale. Noi, prima, abbiamo scelto un'altra strada, una vita di strada, di delinquenza, con loro invece ci alleniamo a riprendere al nostra vita in mano.
Perché in carcere i discorsi sono tutti uguali: parliamo di chi è più bravo a fare una rapina, chi è più bravo a spacciare o chi è più bravo a truffare, quanti anni hai preso, la buona condotta, il fine pena. Se ci fanno vivere chiusi solo tra di noi, senza gente di fuori, rimaniamo sempre in quell'ambiente. Il carcere diventa una scuola per essere più delinquenti. Confrontandoci con i ragazzi del laboratorio di teatro che vengono da fuori
ci possono far capire altri valori importanti nella vita, loro credono in noi, lavorano con noi.
E' una cosa molto positiva sia per noi e penso pure per loro, possono conoscere un altro mondo con cui non avevano niente a che fare, anche loro prendono qualcosa da noi.
Quando finisce la galera torniamo nella società e loro sono la società.
Loro credono in noi e questo ci dà fiducia per un futuro migliore una volta fuori.
In cinque anni ho visto parecchi ragazzi lavorare dentro e mi sono sempre rimasti sempre nella testa. Quello che fanno è molto utile per la società



Gdoura Maher

Riflessioni dal carcere raccolte negli anni dal Tam

PRESENTAZIONE

Sono uno di quelli,
Che affrontano la paura, ogni momento della loro vita
Uno di quelli,
che hanno perso la loro famiglia in cerca della libertà
Sono uno di quelli,
Che hanno sentito la forte esplosione
Uno di quelli, che hanno perso le loro emozioni
Sono uno di quelli,
Al quale i carri armati hanno portato via la loro voce
Uno di quelli, che sono rimasti senza luce
Sono uno di quelli,
Che sperano di sentire l’acqua che scorre
Uno di quelli, che sono veramente stanchi di correre
Sono uno di quelli,
Che al posto di dire “capivo” dicono “vedevo”
Uno di quelli, che hanno capito senza vedere.

Gharbi Moez (02-01-2008)

giovedì 24 febbraio 2011

Claudio Ambrosini per rEsistere

Ho visto alcuni frammenti del lavoro fatto in carcere dal TAM. Non molti ma sufficienti per capire quanto fossero occasione di ritrovamento, di crescita, di riscatto, di restituzione. Esperienze importanti non solo per quelle persone ma per il teatro in generale; per il linguaggio teatrale che ne esce arricchito e ad un prezzo per la comunità infinitamente più contenuto di tanti altri spettacoli, non di rado più avari sia di emozioni che di significato. E benché fatti da non professionisti, erano lavori per nulla “dilettanteschi”. Anzi, pieni di una verità unita ad una modestia che rende onore sia agli attori che agli operatori che li hanno seguiti con dedizione.
L’attività del TAM mi pare quindi estremamente utile, per chi è “dentro” e, forse ancora di più, per noi che siamo fuori e che abbiamo ancora molto da imparare e da ricevere, per il poco che diamo.


Claudio Ambrosini
Venezia, 24 febbraio 2011

COORDINAMENTO NAZIONALE TEATRO IN CARCERE

Comunicato stampa del 24 febbraio 2011
Inaugura ufficialmente la sua attività
il Coordinamento nazionale teatro in carcere
Costituito domenica 16 gennaio 2011 a Urbania nell’ambito del Convegno “Immaginazione
contro emarginazione” organizzato dalla rivista “Teatri delle diversità”, il Coordinamento nazionale teatro in carcere si presenta ufficialmente nella sua veste legale.La formula prescelta dai firmatari il documento costituente è quella del “Comitato di scopo”.
Ne sono promotori Donatella Massimilla rappresentante del Centro Europeo Teatro e Carcere di Milano, Gianfranco Pedullà rappresentante del Teatro Popolare d’Arte di Firenze, Vito Minoia rappresentante del Teatro Aenigma di Urbino che ne assume la presidenza e legale rappresentanza pro-tempore. I primi sottoscrittori fondatori sono: Michalis Traitsis (Balamós Teatro di Ferrara),Grazia Isoardi (Compagnia Voci erranti di Cuneo), Gabriele Boccacini (Stalker Teatro di Torino),Elisabetta Baro (Compagnia Cast di Torino), Francesco Mazza (Argómm Teatro di Milano), MariaCinzia Zanellato (Tam Teatromusica di Padova), Giorgia Palombi (Maniphesta Teatro di Napoli), Anna Gesualdi e Giovanni Trono (TeatrInGestAzione di Napoli), Maria Teresa Delogu (GialloMare Minimal Teatro di Empoli). Almeno altre 30 sono le compagnie teatrali, operanti in altrettanti istituti penitenziari dell’intero territorio nazionale, che, avendo partecipato ai lavori che hanno preceduto l’incontro costituente potrebbero unirsi ai fondatori, sottoscrivendo la propria adesione entro il 16 aprile 2011, come da statuto.Il Coordinamento nasce per offrire progettazione, relazione, luoghi di confronto e di
qualificazione del movimento teatrale sorto all’interno delle carceri italiane in questi anni. Sarà impegnato in modo particolare nella promozione di un censimento e di un monitoraggio costante dei profili e delle identità operative delle singole esperienze vissute, nella creazione di relazioni e contatti fra queste, nella realizzazione di un archivio con tutta la documentazione raccolta nonché di una vera e propria banca dati e nell’organizzazione di momenti pubblici di confronto
e di scambio a livello nazionale ed internazionale.
Si occuperà, inoltre, di gestire lo scambio di informazioni e creare canali di comunicazione mediante siti internet o altri strumenti elettronici e cartacei, della formazione di formatori nonché della promozione di relazioni con le istituzioni nazionali e regionali.
Per un miglior raggiungimento dello scopo sociale e per poter delineare, con riferimento ai diversi temi, obiettivi programmatici comuni, sono stati formati tre gruppi di lavoro: “Formazione/Informazione, documentazione”; “Relazioni con le istituzioni regionali e
nazionali”; “Iniziative di confronto a livello nazionale e internazionale”. In una logica inclusiva, inoltre il Comitato stimolerà la nascita di nuovi coordinamenti regionali che avranno rappresentanza nell’assemblea generale del coordinamento nazionale.

riflessioni dal carcere

Tanti di noi che stiamo qui a parlare insieme,
fuori non si sarebbero neppure sfiorati.
La libertà non esiste neanche fuori, però la fregatura qual'è?
Che tu pensi che esista. Siamo esseri umani che hanno una
sola vita da sprecare o da godere, ma se uno riesce
nel tempo che è qua chiuso, privo di affetti, a fare in modo
che quando va fuori sfrutta al meglio la vita:
andare in montagna, guardare il fiume, sentire l'aria...
Questo lo diciamo adesso. Quando uno esce da qua
dopo tre giorni non si ricorda neanche più che è stato in galera.
Perchè l'uomo solo in situazioni di privazione trova
delle risposte?


Gianni

riflessioni dal carcere

Io non ho parole. posso solo dirti che mi sono visto
davanti tutte quelle persone e una parte erano quelli
che mi giudicavano e mi giudicano ancora se io sono
idoneo a stare nella società da dove sono stato
strappato, ma quando mi sono visto sbattere le mani di
quello che ho fatto allora mi sono detto io non sono
solo un delinquente ma sono anche uno capace di
realizzare cose buone ecco in quel momento mi sono
sentito libero. Una libertà che è durata poco.

Gennaro

Riflessioni dal carcere raccolte negli anni dal Tam

....avvicinarmi così all’arte, a Giotto, la Cappella
Scrovegni, io, buzzurro ateo, pensare ai Vizi e le
Virtù ed esprimere tutto ciò teatralmente...Dovete
sapere che qui al braccio dopo chue uno è arrivato,
trascorse un paio di settimane che si è insieme, i
nostri raconti diventano sempre i soliti fino a
diventare quasi ossessivi. Invece, grazie al forte
stimolo dovuto al teatro, abbiamo iniziato dei
dialoghi diversi anche al braccio: esporre le nostre
riflessioni, scambiarci i punti di vista, che abbiamo
sempre avuto, ma che perché in galera non se ne
parla mai quasi come se cambiare il discorso da
pane e malavita sia un’infamità.

Piergiorgio

Horacio Czertok- Teatro Nucleo

Cara Cinzia,
ti faccio avere queste righe per il blog,

Uno dei problemi che si incontrano in questo lavoro del teatro nel carcere è l'isolamento.
Siamo dei cittadini normali, spodestati da altra autorità che quella conferita dalla capacità che abbiamo a fare quello che proponiamo, dentro una struttura comandata.
Siamo cittadini autoinvestitesi di una missione, isolati. A Ferrara abbiamo cercato di fare crescere, in parallelo col lavoro di creazione di un laboratorio teatrale permanente, una rete sia con relatà associative esterne legate alle problematiche della detenzione, sia in particolare con
altri teatri che agiscono nelle carceri della regione e-r.
E' stato un lavoro difficile perchè abbiamo dovuto vincere molte resistenze e sospetti e sfiducie da parte dei teatri e da parte delle carceri stesse, ma alla fine abbiamo costruito un censimento
con molti dati ed informazioni. Da questo è partito un forum, e nel forum abbiamo
creato il coordinamento regionale. Ora stiamo negoziando con la regione e con il prap un protocollo d'intesa, e abbiamo avuto un finanziamento per sostenere il primo progetto regionale al quale partecipano oltre ai teatro anche il dams di bologna e alcune strutture dello spettacolo.
Certo è difficile fare un coordinamento, perchè i teatri sono tra loro molto diversi e con storie e
scopi differenti: ma lo sappiamo che diversità è ricchezza, e questa non dev'essere solo una formula retorica. Un coordinamento che tenga dentro tutti e sia progettuale e abbia contrattualità, ecco.
Bisogna organizzarsi, diceva una canzone. Organizziamoci.
Horacio Czertok
Teatro Nucleo

mercoledì 23 febbraio 2011

teatro carcere

Due anni fa ho partecipato al laboratorio del Tam di teatro civile che prevedeva anche la partecipazione di alcuni allievi detenuti. Questo mi ha permesso di entrare tre volte nella casa circondariale Due Palazzi.
Entrare nel carcere, oltrepassare quella soglia che divide nettamente (se non altro dal punto di vista architettonico) il mondo in due parti, il dentro e il fuori, è stato significativo per i detenuti, ma anche per me.
Lo è stato sia a livello personale sia in quanto rappresentante della società che vive fuori, dunque in senso civico.
È stata un'esperienza catartica, speculare, che ha permesso, a me, di vedere da vicino quello che potenzialmente potrei essere, e, a loro, ciò che potranno ridiventare, ovvero uomini liberi. Ritengo infatti che la reclusione possa svolgere meglio la funzione di ri-educazione, ri-adattamento se si fonda, oltre che su un modello di luogo di detenzione che consideri inalienabile il concetto di dignità (si veda il carcere di Bollate), anche sulla commistione con il mondo esterno.
In questa prospettiva auspico che il Tam possa riprendere le attività all'interno del carcere di Padova e nel contempo consiglio a qualunque cittadino di entrare almeno una volta in un carcere. Avvicinarci all'errore, al male, non può che far bene a tutti. A noi e a loro.

Arianna Petris

Carlo Mazzacurati è tra i sostenitori di rEsistere


nel film La Passione Giuseppe Battiston interpreta un ex detenuto che ha fatto teatro in carcere
nel trailer un frammento in cui dice "Lo sa, maestro, che l'esperienza di teatro in carcere mi ha cambiato la vita?"
una sorridente citazione di una frase spesso sentita nella realtà. :-)

Marco Paolini _ Al TAM per il taglio fondi al Teatro in Carcere

Io credo in quello che fate
come in quello che faccio
e che si possa far meglio
cercando di non ripetere,
di non replicare.
Io voglio giocare in un teatro
che non sia un edificio
ornato di velluto
e foderato di abitudini.
Sono a Terni ma sto con voi,
con tutti quelli, e sono tanti,
che provano a dire un ragionevole NO
a ogni ragionevolezza contabile
che azzera i costi senza mai conteggiare i benefici.
Io credo che questa sia un’occasione di giocare in attacco
e non di chiudersi in difesa,
mi metto la maglia e sto in panchina,
disponibile per ogni ruolo,
ho poco fiato, ma buona resistenza.

Marco Paolini
Terni, 23 febbraio 2011

I detenuti: «Un'esperienza che cambia la vita, dà speranza»

Nessun stanziamento regionale per l'attività del Tam

I detenuti: «Un'esperienza che cambia la vita, dà speranza»

Caterina Cisotto

Laboratori, spettacoli, incontri: è dal 1992 che il Tam, prima con Michele Sambin e Pierangela Allegro e dal 2004 con Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi, porta il teatro dentro il Due Palazzi coinvolgendo in prima persona i detenuti. Un'opportunità straordinaria di rieducazione contro una pena ridotta ad inutile, se non dannosa, reclusione e repressione. Quest'anno il corso, che si svolge da ottobre a giugno, non è partito. La Regione non ha ancora stanziato i fondi necessari. «Il teatro aiuta ad uscire da una doppia condizione di isolamento, per chi non solo è recluso ma è anche straniero, lontano dalla famiglia, da casa - spiega la Zanellato - il contatto con i partecipanti dall'esterno, giovani e non, abbatte i pregiudizi da ambo le parti e le differenze di età, nazionalità, condizione sociale». Una quarantina i detenuti iscritti al laboratorio del Tam, arricchito da incontri con attori già affermati come Tiziano Scarpa, Vasco Mirandola, Giuliana Musso, e con l'Università. E ogni due anni gli attori del Due Palazzi mettono in scena uno spettacolo. «Per noi è vitale sentire che siamo nei pensieri di qualcuno, che non siamo abbandonati qui al buio», confessa Mohamed, 41 anni, dal Marocco. «Il teatro ci spinge a metterci alla prova - aggiunge Giovanni, dalla Calabria - quand'è giorno di prove per noi è una festa, rompe una monotonia resa ancora più dura dal sovraffollamento, visto che al Due Palazzi vivono quasi 900 persone contro le 350 previste». «All'inizio ero scettico, mi sembravano sciocchezze da bambini - racconta Sam, dalla Nigeria - ma poi, piano piano, la mia vita è cambiata, mi sono ricaricato, ho di nuovo la speranza». «Vivere in carcere ti costringe a rinchiuderti, ad avere solo relazioni di buon vicinato con gli altri, mentre ti senti sempre più inadeguato - dice Luca, 36 anni, dalla Sardegna - il teatro mi ha aiutato a contrastare una sorta di autocensura che mi bloccava». Un arricchimento che contagia anche gli allievi attori del Tam. «Sembrerà paradossale ma quando sono dietro le sbarre mi sento libera - dice Maria, ex insegnante di lettere al liceo - siamo tutti uguali nella diversità». «Fuori ci si perde in mille cose - conferma Filippo - qui le emozioni, i ricordi hanno un'energia incredibile, che non va repressa».

GAZZETTINO - Data 15-12-2010 - Edizione PD - Pagina 33

Davide Ferrario è tra i sostenitori di rEsistere


Davide Ferrario è tra i sostenitori di rEsistere
il suo film Tutta colpa di Giuda è interpretato da detenuti attori
Canzone in Prigione di Marlene Kuntz è parte della colonna sonora

da GIGI GHERZI regista www.gigigherzi.org

Cara Cinzia,

Nei giorni scorsi una mia amica mi ha raccontato questa storia.
Lei è davanti a un carcere. Al cancello di un carcere.
Guarda oltre il cancello. Con desiderio. Con nostalgia.
E si sente cretina.

Perchè lei in quel carcere ha insegnato teatro.
C'è stato uno spettacolo. Importante.
I detenuti che recitano per bambini, tanti.
Tutte le loro famiglie e i loro figli, tra il pubblico.

Apprezzamento. Promesse. La frase di rito:
“Che questo non sia un evento isolato”.
Poi, dopo qualche mese l'annuncio.
Il progetto è bloccato. L'intervento tagliato.
Speriamo, forse in futuro.
Linguaggio secco della burocrazia.

Dentro detenuti che non sanno a cosa pensare.
Di sicuro, una volta in più,
sentono che gli si sta facendo un torto.
Un abbandono.

Fuori lei, che si sente cretina.
Perchè guarda con desiderio a quel cancello.
Che di solito è guardayo con desiderio, ma per uscire.
Lei vorrebbe rientrare.
Continuare a lavorare.

Dentro un carcere
non ci si sente dentro a un lavoro normale.
C'è un limite, un margine,
dove la verità delle relazioni, delle vite, sembra esplodere.
Ne esce trasformato il teatrante.
Ne esce trasformato il detenuto.
Succede qualcosa che altrove è merce rara.
Una trasformazione.
Delle persone, del teatro, delle strutture.

Tagliare non è mai un atto tecnico.
E' dichiarare seccamente,
prendendo a scusa una supposta emergenza,
una scala di valori.
Tagliare il vostro lavoro è dichiarare
che la trasformazione
delle vite, delle persone, dei luoghi,
non è un valore prioritario.

Tagli come questo desertificano il mondo,
mettono il bavaglio alle realtà più preziose,
quelle che con mezzi scarsissimi,
con un impegno che va ben oltre al professionale,
ritessono la trama delle vite e delle esperienze
.

Sono piccoli crimini di pace.
Ma le vite deboli tagliate
nei loro momenti più preziosi
allla fine chiedono un conto.

Che sarà fatto di più disagio, più disperazione,
più ricaduta nel nero e nell'indicibile.
Le vite dei carcerati, le vostre, le nostre.

Il taglio alle vite non si può accettare.
Per questo vi abbraccio e vi sono vicino.
Per la poesia, per la bellezza.
dentro e fuori le sbarre.

Gigi Gherzi

A proposito di cifre

Quando sono andata con Raffaella a raccogliere il sostegno del direttore dello Stabile del Veneto in un videomessaggio già inserito in questo blog, una delle prima domande che mi ha fatto è stata l'entità del taglio della Regione...di quanti soldi stiamo parlando...io non sapevo la cifra esatta e me ne sono dispiaciuta, mi sembrava di essere impreparata... poi mi sono informata da Cinzia e la cosa in parte ridicola è che si tratta di 11.000 euro.... "solo" 11.000 euro che ben amministrati da una piccola compagnia radicata nel territorio si trasformano in un laboratorio di un anno con i detenuti all'interno del carcere Due Palazzi di Padova, un laboratorio parallelo e correlato con giovani all'esterno e all'interno del carcere, la realizzazione di un evento finale all'interno del carcere realizzato dai detenuti e dai giovani dei laboratori con un pubblico misto di detenuti e persone venute per l'occasione da fuori,

la realizzazione (questo è ad esempio accaduto nel 2010 con "Annibale non l'ha mai fatto") di uno spettacolo di livello professionale da poter far girare con un detenuto-attore in scena e un attore professionista, la partecipazione alle attività organizzate dal Coordinamento Nazionale Teatro Carcere e l'organizzazione di incontri all'interno del carcere tra i detenuti e personalità di spicco della cultura come attori e scrittori... (toccanti negli anni scorsi gli incontri dei detenuti con Tiziano Scarpa e Giuliana Musso)!!! si possono fare piccoli miracoli con un po' di soldi ben amministrati da chi è abituato a non sprecarli e ad essere parsimonioso...e questo discorso ovviamente non riguarda in particolare il Tam Teatromusica...ma moltissimi artisti e operatori culturali.

Mi piaceva sottolinearlo...11000 euro sono delle briciole per un'amministrazione regionale e io sono stanca di sentir dire che i soldi non ci sono...se devo essere sincera vedendo come vengono rubati e sprecati ovunque senza criterio e buon senso fatico un po' a credere che non ci siano...forse bisogna smettere di avere due pesi e due misure e cominciare ad amministrarli con un po' più di lungimiranza e serietà... quella che hanno ad esempio le massaie quando devono mandare avanti una famiglia, imparando a scegliere tra i progetti quelli che magari hanno meno risonanza sul momento ma agiscono profondamente sul tessuto sociale e portano frutti inizialmente piccoli, ma duraturi, che promettono di crescere con costanza e di essere un germe di cambiamento e maturazione delle coscienze.

La cultura non è un costo è un investimento...a lungo termine e molto redditizio.
Certo è un investimento solo per chi si è stancato di credere alla favoletta che la crescita di un paese si misuri con il PIL... come se uno potesse pensare che un uomo cresce solo se continua a diventare sempre più grande nel corpo ...fino a ritrovarsi a 90 anni con il crevello di un adolescente e il corpo di un gigante di 8 metri...ma che razza di idea di crescita è....sempre di più, sempre più grande e mai sempre meglio!

Riflessioni dal carcere raccolte negli anni dal Tam

In carcere ho acquisito un'altra forma di essere, di vivere,
che mi induce ad apprezzare delle cose che prima vivevo solo
superficialmente. Prima camminavo su un marciapiede,
non mi interessava. Pioveva, non mi interessava.
Oggi vorrei solamente camminare su un marciapiede.
Sentire la pioggia che mi bagna.
Per chi come voi viene da fuori è banale.
Prendiamo il tempo, una volta cinque minuti erano niente.
Ora che telefono a mia moglie ogni domenica per cinque minuti,
ora cinque minuti sono diventati preziosi.
Quando telefono alla fine dico a mia moglie ci vediamo domenica prossima.
Uno inganna se stesso, è un modo per sopravvivere.
Ma quando vai fuori ti dimentichi tutto questo
e non cerchi più.

Marco

La bocca del lupo di Pietro Marcello

Vi segnalo questo film che a me è piaciuto molto, vincitore del 27 Torino Film Festival






Un uomo torna a casa, dopo una lunga assenza. Scende al volo da un treno in una livida città portuale. L'attraversa cercando i luoghi di un tempo, ormai in dismissione, che affiorano alla memoria nel loro antico splendore. Nella piccola dimora nel ghetto della città vecchia, l'aspetta da anni una cena fredda e la compagna di una vita. Mary in strada ed Enzo in carcere si sono aspettati e voluti sin dal tempo del loro incontro dietro le sbarre, quando ancora si mandavano messaggi muti, registrati su cassette nascoste. Una casetta in campagna sopra la città e il suo mare, questo è il loro sogno, lontano dal tempo presente, sospeso in un altro tempo di semplice felicità. Ora e ancora, condividono il loro destino furtivo con i compagni degli abissi nel dedalo di Croce Bianca, via Pré, Sottoripa...nomi antichi di un posto non ancora moderno dove il Novecento s'è incagliato come una nave senza ancora.

lunedì 21 febbraio 2011

6dentro

Ripesco nella memoria (la mia e quella del mio hard-disk) un passaggio condiviso con il Tam a proposito del suo impegno teatrale in carcere.
Si riferisce a 6Dentro il CD-art-game (un gioco artistico interattivo) realizzato otto anni fa, circa.
Un teatro fa, una vita, rispetto alle dinamiche forsennate dell'evoluzione digitale.
Lo considero a tutti gli effetti un atto esemplare di simulazione teatrale in un ambiente digitale.
Prima di tutto per il suo approccio immersivo, per cui essere “dentro” l’ambiente digitale di quell’ipermedia coincidere con la condizione dell’essere “dentro” il carcere. E’ un bel paradosso non c’è che dire. Ma proviamo a percorrerlo questo paradosso, ne vale la pena perché vi è possibile trovare una forte interrelazione tra teatro e ipermedia.
Un modo per concepire l’entità virtuale è infatti quella di vederla come simulazione visiva di uno spazio fisico. Simulazione e non solo rappresentazione. All’interno di un ambiente virtuale, grazie all’interattività, si agisce, si naviga, si percorre la visione data: si è dentro, secondo quel principio immersivo che determina uno straordinario salto di qualità percettivo rispetto alle altre categorie della rappresentazione visiva: si agisce nella visione. In quelll’opera del Tam viene reso evidente quest’approccio: lo spettatore-navigatore è sollecitato ad agire con il mouse (estensione protesica della mano e della mente) cercando le zone sensibili su cui cliccare per andare oltre nel percorso. Supera cioè il normale punto di vista per esprimere un particolare “punto di vita” perché non si sta solo a vedere: si agisce, si vive in quello spazio artificiale attraverso il simulacro del puntatore grafico che scorre nello schermo. Si entra così in un’opera multimediale che si sviluppa secondo una dinamica che non è narrativa e tanto meno sistematica (il CD-Rom non svolge infatti una mera funzione documentaria), è bensì ipermediale: la nuova qualità compositiva che oltre alla concatenazione ipertestuale degli elementi si articola sul principio sinestesico che fa interagire tra loro sfere sensoriali diverse. Questo è un valore proprio del Tam che ha sempre centrato la propria identità teatrale sulla sottile interazione tra scena e suono, in una drammaturgia musicale e visiva ad alto grado di risoluzione poetica. La composizione ipermediale di 6Dentro trova così un terreno fertile di creazione inscritto nel bios teatrale del Tam che dà finalmente compiutezza all’idea che si possa esprimere una simulazione teatrale anche in un ambiente digitale. Creando un teatro di percezione che dà forma ad una condizione estrema: quella della vita in carcere come spazio-tempo sospeso e virtuale dentro uno spazio-tempo imposto da altri.

Sperando di poter tornare.

Due anni fa sono stata invitata, con Beatrice Sarosiek, a tenere un laboratorio teatrale al TAM all'interno del carcere e al Teatro delle Maddalene.
Avremmo dovuto lavorare con un gruppo misto di attori, interni ed esterni al carcere, che da anni svolge un percorso di ricerca grazie alla forte passione e all'impegno testardo del Tam Teatro Musica.
Accogliemmo l'invito con entusiasmo. Avremmo rimesso mano alla ricerca condotta in via Anelli qualche anno prima, che, dopo un anno di interviste, chiacchiere, amicizie, storie raccolte intorno e dentro il"ghetto" di Padova aveva portato alla luce Sabbia, primo spettacolo della nostra compagnia, MARGINeMIGRANTE.
Portare di nuovo quelle storie così intense e legate al territorio dentro il carcere ci sembrava un'occasione importante, unica. Decidemmo di dedicare una giornata al racconto, attraverso materiali fotografici, della nostra esperienza, del nostro viaggio all'interno di uno spazio allora recluso. Il secondo giorno invece sarebbe stato dedicato al lavoro teatrale su quegli stessi materiali.

Bene. Si parte, di nuovo, dunque.

Sabato mattina. Giornata grigia come solo il Nord Est alle volte regala. Ci troviamo all’entrata del carcere. Controlli. Documenti. Poi l’ingresso. Corridoi infiniti. Arriviamo nello spazio dedicato al teatro. La sensazione improvvisa di accoglienza, ospitalità. Spazi ampi, colorati di molti dipinti. C’è the caldo servito in bicchierini di plastica. La platea è folta, molti visi sconosciuti. Controllo, in effetti non conosco nessuno. Ma nell’aria si respira grande familiarità. Prima di iniziare a raccontare, come sempre mi sento un po’ a disagio, quel disagio di testimoniare storie di altri a persone che, forse, ne conoscono altrettante, molto simili e sicuramente meglio di me… Ma una volta iniziato il racconto sento estrema attenzione, curiosità, e grande rispetto. Raccontare diventa semplice, nessun giudizio nell’aria. Raccontiamo via Anelli, chi l’ha abitata. Storie di viaggi, migrazioni, storie di un luogo strano, ibrido, difficile da afferrare ad un primo sguardo. Ritratti degli amici che chissà dove sono finiti…Alla fine leggiamo parti della drammaturgia, qualche risata, l’ambiente diventa conviviale: poi il momento dei commenti, delle domande, delle chiacchiere e dello scambio uno a uno…

Mi colpisce un uomo che, dopo averci fatto i complimenti per il nostro lavoro, mi parla della sua, di storia. Dice che sarebbe bello che qualcuno la testimoniasse, la scrivesse, la mettesse in scena. In teatro. E chiude, poco prima dell’ora di rientrare in cella, dicendo: “Perché a me il teatro ha cambiato la vita, io sono un'altra persona, adesso.” Ci salutiamo. Raccomanda di tornare. E’ stato un piacere, dice. Il piacere è tutto mio, rispondo.

Sperando di poter tornare.

Anna Serlenga

E' IMPORTANTE FAR SAPERE COSA SI FA IN CARCERE

Molte persone ancora non sanno cosa fanno le compagnie e gli operatori teatrali in carcere, in cosa consistano i laboratori, a cosa servano concretamente.

Per questo credo sia fondamentale diffondere queste informazioni nei vari strati della società partendo dalle scuole, per far sapere quanto queste attività di teatro/danza/arte in carcere siano preziose per i futuri uomini e donne che usciranno a fine pena. Queste attività di solito servono anche per coloro che sono "liberi" perché possono venire a conoscenza di persone recluse che altrimenti non conoscerebbero.
Ma visto che viviamo un periodo di crisi economica( in un sistema in cui i valori soccombono al profitto), dobbiamo dare precedenza ai costi reali.
Scopriamo allora che investire nel recupero dei detenuti funziona e conviene, perché abbatte drasticamente la recidiva, cioè il ritorno al crimine di chi esce dopo la pena. Il che significa più sicurezza e risparmio di soldi pubblici. ll tasso di recidiva di chi ha usufruito di un percorso riabilitativo e di reinserimento sociale è del 5%, mentre chi ha scontato tutta la pena in carcere senza alcun tipo di attività ha una recidiva del 66%.
Parliamo di questo dato fondamentale. Uniamo le nostre voci.

Il 26 febbraio al Teatro delle Maddalene sarà una giornata molto importante, in cui trovare un nuovo modo di stare assieme di tanti artisti e operatori e di comunicare la propria attività alla città.

Proprio con questo obiettivo mi sto impegnando personalmente a organizzare il 14 e 15 aprile 2011 |48 ORE D'ARIA| Festival di arte e carcere, presso il Teatro Hops nel cuore del centro storico di Genova.

Un saluto a Cinzia e al Tam a cui mando tutta la mia solidarietà, sperando che possiate continuare a svolgere il vostro preziosissimo lavoro. rEsistere!




Lascio un estratto del video dello spettacolo “Il Rumore dell’amore” realizzato a seguito di un laboratorio diretto da Vito Alfarano e Paola Maran nella Casa Circondariale di Rovigo nel 2009. Produzione Fabula Saltica Coreografie Vito Alfarano Regia Luigi Marangoni

Tengo a disposizione per chi fosse interessato i seguenti lavori video realizzati nella Casa Circondariale di Rovigo:
- Il silenzio dell'amore, documentario 2009
- Autoritratti dal carcere, videoinstallazione 2010
- Dietro al ritratto, documentario 2010

Giornata mondiale del teatro

Il nostro Stato ed il Sindacato di rappresentnza del settore Teatro AGIS quest'anno hanno deciso che non si celebrerà la giornata del Teatro perchè non c'è nulla da festeggiare. In effetti che non ci sia nulla da festeggiare è vero, ma è vero anche che questa stessa giornata può rappresentare un punto di ripartenza dal quale, affrancandosi dalla volontà di abbattere tutto ciò che possa in qualche modo far crescere la cultura nel... nostro Paese, poter ripartire con rinnovato spirito ed obiettivi chiari. Il rinnovato spirito è "decidere ed impegnarsi a non far morire il teatro", l'obiettivo chiaro è "portare il teatro a sostenersi autonomamente".
Il 27 marzo può essere il giorno dal quale tutti noi che patiamo una situazione drammatica ed apparentemente senza via d'uscita possiamo iniziare a guardare le cose in maniera diversa DECIDENDO di andare a Teatro e di formare una rete attiva di pubblico pagante.
Il 27 marzo è il giorno in cui possiamo decidere di focalizzare i nostri problemi di sopravvivenza mettendoli alla portata di chi conosciamo. Riusciamo ad impegnarci in questo senso?
Come le azalee ed i chili di arance per la lotta contro i mali del fisico possiamo impegnarci a sensibilizzare sui mali dello spirito, meno evidenti e gravi sicuramente, ma comunque importanti.
Il 27 marzo vai a teatro pagando il tuo biglietto intero e porta con te qualcuno che non ci va spesso, parlagli e raccontagli quello che stiamo vivendo, e possibilmente fagli vedere un bellissimo spettacolo, che riesca a convincerlo di quanto sia necessario ancora sognare, respirare il sudore di chi recita e di chi lavora in questo nostro ghetto.
Riporto qui di seguito l'articolo del Giornale dello Spettacolo. Io non mi piego a chi vuole il nostro funerale, non si seppellisce la cultura.

ROMA – 18 FEBBRAIO 2011 – Quest’anno, il 27 marzo non si celebrerà in Italia la Giornata Mondiale del Teatro, che avrà invece luogo negli altri paesi, perché da noi “non c’è nulla da festeggiare”. E’ quanto è emerso da una riunione convocata a Palazzo Chigi dal sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta (foto), alla quale hanno preso parte il presidente dell’Agis, Paolo Protti, il direttore del Piccolo e presidente di Platea, Sergio Escobar, il regista Maurizio Scaparro, tutti componenti del comitato organizzatore della manifestazione.
Lo scorso anno, sempre il 27 marzo, la Giornata Mondiale del Teatro fu celebrata per la prima volta in Italia su iniziativa della presidenza del consiglio, con l’ attiva collaborazione dell’Agis.

Valeria Orani

domenica 20 febbraio 2011

CHIARA TESTIMONIANZA

Ciao Cinzia,
ho trovato il tuo appello sulla mia mail e ovviamente mi sono iscritta al blog. Non credevo che dopo i passi avanti fatti in questi anni togliessero i fondi per una cosa così fondamentale come il teatro carcere. Si crede di risparmiare tagliando i "privilegi" a chi, per qualcuno, non dovrebbe averne. Ma ciò che si risparmia verrà a reclamarci. Quello che si perde è la possibilità di un altro sguardo sul mondo: che diamo a queste persone e che lavorando con loro regaliamo anche a noi stessi e a chi ha la voglia di guardare oltre. Il teatro è un mezzo privilegiato per venire a contatto: attraverso l'uso del corpo, l'abbattimento delle barriere fisiche, il lavoro sulla fiducia, l'utilizzo di un linguaggio profondo tratto dai ricordi che emergono e non si chiamano con la ragione ma si fanno chiamare dal corpo, è in grado di demolire, giorno dopo giorno, le sbarre che ognuno ha innalzato dentro di sè. Carcerati e non.
L'esperienza che io ho fatto, piccola e limitata purtroppo, è una delle più belle che mi porto dentro. Nell'incontro con Maher, Farid, Aziz e gli altri ho sentito le potenzialità del teatro espandersi in tutta la loro forza semplice, immediata, grezza e per questo pura. Siamo stati uomini e donne consapevoli che la nostra storia fosse diversa eppure comune per certi aspetti, con la voglia di metterla in circolo e di unirla nella bellezza della diversità, per farne qualcosa d'altro, nuovo anche a noi stessi. Ho avuto la fortuna di lavorare con loro sia fuori che dentro il carcere, e di vedere cosa significa essere nel proprio territorio e attraversare quello dell'altro, che emozioni da, cosa fa cambiare dentro. L'entrata in carcere, con ogni porta che si apre dopo che quella dietro di te si è chiusa, fatta di mille piccole regole da rispettare, è una cosa che non dimentico, così come quanto dentro la stanza messa a nostra disposizione, ci sono stati attimi in cui siamo usciti da quella catena di sbarre. Sono frammenti, minuscoli a volte, altre meno... ma l'uno dopo l'altro costituiscono i passi di una nuova consapevolezza e di una speranza. Che non viene dal pensare a cosa si farà dopo ma a chi si vuole diventare,e a cercare di esserlo giorno dopo giorno, un piccolo frammento per volta, perchè anche una scheggia sia fonte di esperienza.

Questo è ciò che ti volevo dire, dal profondo del cuore. Se pensi che possa essere utile postalo pure nel blog, spero tanto che l'esperienza del teatro carcere non finisca così. Io ne ho sempre avuto e continuo a da averne un ricordo di una forza esplosiva. Nel mio piccolo bagaglio di vita teatrale posso dire che mai come nelle situazioni di marginalità ho visto l'utilità del teatro, che è sempre "utile" se si può usare questo termine nell'arte, quando c'è una vera apertura, ma che forse proprio per quell'agire in un tessuto che non prevede egocentrismi, difese, aspettative, confronti, riesce a tirare fuori della bellezza pura, perchè senza enfasi. Sono quasi 2 anni che faccio un laboratorio con i disabili, totalmente diverso dal carcere, ma anche lì vale lo stesso. Teatro come gioco, come uscire da sè, come mettere in circolo, come darsi senza chiudersi. Bellissimo.

Ti mando un abbraccio forte, tienimi aggiornata sulla situazione.

Chiara

sabato 19 febbraio 2011

dal sito Ministero della Giustizia - Il teatro in carcere

http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_3_8_6.wp
Itinerari a tema » Carcere e alternative » Attività rieducativa » Teatro in carcere

Il teatro in carcere
All’inizio degli anni '80 il teatro in carcere – già presente in alcuni istituti con esperienze amatoriali – assume significati, metodologie e obiettivi nuovi che si precisano e si consolidano negli anni. Si pone l’accento sulla pratica teatrale piuttosto che sullo spettacolo, sull’attività laboratoriale e creativa dei detenuti, sulla funzione terapeutica e pedagogica di quest'ultima, in grado di intervenire sugli aspetti relazionali e la cura di sé. Il teatro diviene anche uno strumento importante per far conoscere alla società la realtà del carcere, sia tramite rappresentazioni negli istituti aperte al pubblico, sia con spettacoli di compagnie di detenuti in teatri esterni.Nel 1982 Riccardo Vannuccini realizza un’esperienza pionieristica nel carcere di Rebibbia. Nello stesso anno nasce il Teatro Gruppo, prima forma organizzata di laboratorio teatrale che rappresenta “Sorveglianza speciale”di Jean Genet a Spoleto. I sei detenuti-attori possono recitare all'esterno grazie ad un permesso per motivi eccezionali concesso da Luigi Daga, allora magistrato di sorveglianza. Nel 1984 Luigi Pagano, direttore di San Vittore, favorisce lo sviluppo di esperienze nel carcere milanese, in collaborazione con la compagnia Ticvin. A Volterra nel 1988 Armando Punzo fonda la Compagnia della Fortezza. Da allora le esperienze di teatro carcere si sono moltiplicate, l’Amministrazione penitenziaria ha aperto nuovi spazi, sostenuto nuove esperienze e progetti di sperimentazione e formazione. Le compagnie che lavorano negli istituti penitenziari sono oggi decine. Tra le più attive il Tam Teatro musica di Padova, Ticvin e Donatella Massimilla a Milano San Vittore, Gianfranco Pedullà ad Arezzo, i Teatri della Diversità a Urbino, Renato Vannuccini e Artestudio a Rebibbia e in molti istituti del Lazio, Fabio Cavalli e i Liberi artisti associati nel reparto Alta Sicurezza della casa circondariale di Rebibbia, i Liberanti a Lauro (AV), Lollo Franco a Palermo, l'associazione Balamos a Venezia. Negli istituti minorili lavorano, tra gli altri, Paolo Billi a Bologna, il Kismet a Bari e Claudio Collovà e la Cooperativa Dioniso a Palermo. Queste esperienze sviluppano diverse forme di collaborazione tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e diversi soggetti istituzionali, principalmente le istituzioni culturali del territorio e degli enti locali. Per alcuni anni, fino al 2001, anche l’Ente Teatrale Italiano ha sostenuto un progetto speciale per il teatro in carcere. Alcune esperienze hanno assunto una dimensione europea il progetto Socrates/Grundvig Teatro e carcere in Europa – promosso da Carte Blanche-Compagnia della Fortezza e Newo (Italia), Riksdrama/Riksteatern (Svezia), Escape Artists(Inghilterra), Théâtre de l’Opprimé (Francia), Aufbruch Kunst Gefangnis Stadt (Germania), Kunstrand (Austria).Gruppi e compagnie, pur con differenti caratteristiche operative e stilistiche, realizzano spettacoli in cui la qualità espressiva ed artistica si coniuga con l'uso ai fini pedagogici della pratica teatrale.

Per farsi un'idea

Scusate se sono autoreferenziale, ma ecco un link che da le dimensioni della siccità in arrivo: i tagli del comune di Padova.

venerdì 18 febbraio 2011

La creatività è libera e dà gioia

Ho visto i video girati nel carcere grazie a Raffaella Rivi, che mi ha anche raccontato di come sono stati realizzati, cercando di avere pazienza se faticavo sulle questioni più tecniche o di linguaggio. E mi ha parlato di quell'esperienza, delle sue difficoltà iniziali e di come alla fine la creatività sia riuscita a superare le diffidenze, le delusioni, la sfiducia, le chiusure e tutti i problemi tecnici per creare occasioni di scambio, di reciprocità e condivisione, gettando dei ponti là dove altre situazioni falliscono. Evidentemente mettere in atto la creatività e condividerla è un desiderio umano fondamentale.
E credo di aver capito meglio che la creatività può allontanare la sofferenza e spalancare delle porte che altrimenti sarebbero sprangate. Che può far volare anche quando le piume delle ali sono state tagliate e devono ricrescere. Che può portare nuovi pensieri anche in quelle situazioni in cui il pensiero sembra inutile, o dannoso. E che, comunque sia la condizione di chi la pratica, la creatività è libera e dà gioia.
Ci sono diverse esperienze, nazionali e internazionali sul teatro in carcere... Perché non entrare in contatto?

Liberi in carcere, con il teatro si può

Ho avuto la fortuna, concessa a pochi, di assistere ad alcuni spettacoli allestiti dal Tam con gli uomini del Due Palazzi. Sono passati tanti anni ma il ricordo resta preciso, vivo. Impossibile dimenticare l'onda d'urto di quegli attori impetuosi e impacciati, sfrontati e incerti, che ogni volta mi travolgeva e mi ributtava fuori in un mondo che mi sembrava piccino, modesto. Non ho dubbi che il teatro, ieri come oggi, possa tirar fuori la rabbia, la paura, il dolore, la nostalgia ma anche la speranza, il desiderio, la passione di chi altrimenti è condannato a reprimere tutto questo dentro di sè, a restare muto, isolato. Non posso credere che per un pugno di euro, cifre a 3 zeri non di più, il lavoro del Tam in carcere venga interrotto. Per giunta senza dare ai detenuti un'alternativa altrettanto potente, capace di farli sentire meno soli, meno lontani da tutti e più importanti, più vivi. Il laboratorio teatrale del Tam non è un semplice antidoto alla noia, qualche ora d'evasione fuori da celle superaffollate: è una chiave per aprire il cuore e la mente. Sorprendente, inaspettata. Indispensabile.


Giovanni per diverso tempo e' stato seduto dietro ad un banco assieme ad altri 2 amici siciliani, senza alzarsi, senza parlare. Ci guardavamo e ci facevamo cenni con la testa, per salutarci, per studiarci. Ci siamo anche sfidati, vieni qua tu, no vieni tu.
A Giovanni mancava il cielo aperto.

mercoledì 16 febbraio 2011

Tutto quello che rimane

Qualcuno forse sa che Michele ed io abbiamo lavorato, recentemente, alla creazione di Archivio Tam*. Credo sia ovvio per chiunque il motivo che ci ha condotti a farlo. La volontà di rendere possibile lo studio di un percorso di ricerca attraverso la visione delle opere e l’analisi dei testi che lo hanno reso concreto, ha a che fare con la memoria.
Il teatro è arte effimera si dice, l’unico supporto è lo spettatore, ebbene questo è vero ma è anche vero che se l’artista ha delle responsabilità (e io credo sia così) quella che noi ci siamo assunti è far sì che il tempo non cancelli o rimuova l’esperienza, ma anzi la storicizzi, la metta a confronto, affinchè sia proprio il tempo a valutarla.
E non solo il tempo presente.
Il valore della memoria, così come ritrovare il vero senso delle parole, è ciò che mi preme in questo momento. La memoria di ciò che hai fatto rende possibile riconoscere variazioni e norme nel tuo fare. Conferma quanto in te sia cambiato con la vita e quali siano al contrario i valori che ti danno radici che fanno di te quello che sei.
Ma è anche un modo per storicizzare il tempo nel quale hai agito, nel quale ti sei mosso. Quali e quante cose sono mutate nel teatro di ricerca negli ultimo 30 anni? Quali pensieri si confermano, quali sono stati superati, e soprattutto che ne è dello spirito della ricerca, della capacità di guardare in avanti, anche a scapito di una immediata popolarità?
Il valore di un libro sul teatro, di un video e delle immagini fotografiche di uno spettacolo , hanno il valore di testimoniare ciò che è stato.
Ripropongono, se ci riescono, un’emozione, che però non vola via con l’evento vissuto nel presente, ma offrono la possibilità di contagiare nel tempo per aprirsi a nuovi pensieri e nuovi sguardi. Per questo credo nel valore della testimonianza scritta sia essa fatta di parole o di immagini. Per questo credo in quello che resta e si tramanda.
In relazione a tutto ciò ho riletto recentemente cosa scrivevo nel ‘95 in tutto quello che rimane** a proposito del teatro carcere che in quel periodo impegnava profondamente anima e corpo miei. A distanza di tempo, quelle parole le riconosco. E il passato mi sembra dare forza al presente. Confermare che la strada è giusta. Malgrado le difficoltà a percorrerla. Anzi viene il dubbio che, proprio per il fatto di essere giusta, essa sia così irta di ostacoli, come quelli che oggi ci troviamo, uniti, a voler contrastare.


pierangela

*Archivio Tam, in cinque volumi, raccoglie materiali video, fotografie, disegni, partiture, testi, delle opere per la scena realizzate nel corso del tempo da Tam Teatromusica, dalle origini (1980) fino ai tempi più recenti (2009)
**Per chi volesse approfondire consultare Archivio Tam volume IV TeatroCarcere.

Ri/tratti



Questo video, assieme ad altri che posterò, è stato girato durante una serie di laboratori tenuti al carcere Due Palazzi di Padova, organizzati dall'associazione Art Rock Cafè di Abano Terme.

Ci si chiede "cosa" siano i detenuti, chi siano. Ci aspettiamo che, in qualche misura, siano "diversi" dalle persone che sono "fuori". E' il primo banale, semplice pensiero che si ha entrando in carcere. Quello che trovi sono persone: persone belle, brutte, simpatiche, antipatiche.
Come nel nostro condominio.

Alessandro Gassman per rEsistere




Vogliamo ringraziare il direttore del Teatro Stabile del Veneto per la disponibilità e la sensibilità dimostrataci.

lunedì 14 febbraio 2011

Shakespeare Behind Bars



info

Non voglio (solo) resistere

"Lo sappiamo: da tempo infuria una guerra vera e propria, sotterranea ma non per questo meno violenta; e gli stregoni ottundi-cervello stanno vincendo. Guardiamo le cose in faccia: noi, orgogliose avanguardie della cultura, arroccate sulle nostre Università, Teatri, Cinema (tutto maiuscolo), noi coi nostri gloriosi capitani del passato: gli Strehleri, i Pasolini, gli Eccetera Innumerevoli, ecco, noi stiamo perdendo di brutto. Perché le glorie del passato, sono esattamente questo: passate.
Il flusso degli eventi ci sballotta qua è la nella sua corrente. Siamo spinti sempre di più a lotte di retroguardia, di bande, siamo sbandati.
Non stiamo resistendo, resistendo, resistendo... e stiamo perdendo; come sempre, in questo l'arte fa da canarino da miniera per il resto della società civile.
Resistere serve a guadagnare tempo, ma come si torna a vincere?
Ed è per questo che io, nipote e figlio di partigiani, appassionato lettore di libri, amante della cultura in tutte le sue manifestazioni, organizzatore di festival e stagioni teatrali e workshop ed eventi, co-guida di laboratorio di teatro- carcere, mi chiedo: "dove ho sbagliato? come posso sostenere le cose che amo? come posso tenerle in vita? come posso rivoluzionare il corso degli eventi?"
E scopro, con la certezza dell'intuizione, che l'unica rivoluzione possibile è quella in interiore homini (dal blog di Beppe Sebaste). Non dobbiamo solo resistere, dobbiamo ricostruire dalle radici, imparare a negoziare con il male in termini nuovi.
Una sfida non priva di una sua epicità, che parte dalla rivoluzione che ognuno di noi sarà disposto a fare in sé"

DOMANDE

ho delle domande che mi frullano in testa e mi farebbe piacere se gli amici blogger mi rispondessero :-)

prima domanda :
ieri sera è andata in onda le mie prigioni di Riccardo Iacona e premetto che sostengo pienamente il coraggio di affrontare un argomento così impopolare in questi tempi.
ma mi ha colpito, nella descrizione delle attività trattamentali del carcere di Bollate, la mancanza di qualsiasi riferimento all'attività teatrale che pur rappresenta un'eccellenza in Italia.
anche a sinistra la cultura non si mangia?
eppure nella mia esperienza le attività teatrali, nei luoghi di disagio, hanno il potere di risvegliare potenzialità nascoste, di creare percezioni/visioni diverse di sè e l'elemento catartico che si crea durante le rappresentazioni agisce realmente sulle persone e sulla comunità. La catarsi non è una polverosa eredità greca ma un'esperienza umana ancora reale, capace di produrre cambiamenti.

un'altra contraddizione:
vengono tagliati i fondi per le attività teatrali e contemporaneamente il Ministero della Giustizia sostiene una ricerca dell'Unione Europea, curata dalla Fondazione Michelucci, sulle attività culturali e artistiche in carcere.
si legge che in Italia le attività culturali sono uno dei pilastri del trattamento rieducativo poichè la sensibilizzazione all'arte oltre a produrre costruttivi mutamenti nell'animo umano può alleggerire il carico di emozioni negative tipiche di chi è in privazione di libertà. Ancor più valido oggi in una situazione di sovraffollamento.
a chi possiamo far sapere del Ministero che molte realtà pilastri del trattamento rischiano di chiudere?

domenica 13 febbraio 2011

Marco Martinelli per rEsistere: Non Prevalebunt

Martedì 8 febbraio alle ore 17 presso la Fondazione di Venezia io e Paola abbiamo partecipato all'incontro sulla pratica teatral-pedagogica della NON-SCUOLA del Teatro delle Albe di Ravenna, con la proiezione di Ubu sotto tiro, tratto da Arrevuoto, il progetto che le Albe hanno realizzato con gli adolescenti a Scampia (Na) per cinque anni.
Dopo l'incontro siamo andati a bere un bicchiere di vino con Marco Martinelli e gli abbiamo parlato della giornata del 26 Febbraio alle Maddalene, invitandolo a scrivere un pensiero su questo blog.
Qui di seguito riporto la mail che mi ha pregato di inserire:

"Perdona l'analfabetismo da computer e il poco tempo per sconfiggerlo legato ai miei tanti impegni teatrali, ma mi piace anche l'idea che sia tu a mettere sul blog questa mia lettera, dopo le tante cose che ci siamo dette ieri nella passeggiata veneziana.

Non posso quindi che mandare un abbraccio fraterno al Tam, a Michele e Pier e tutti voi, e combattere insieme a voi contro i tagli alla vostra esperienza di teatro in carcere, contro la mannaia che dappertutto si abbatte, contro la presunzione-illusione di chi governa oggi l'Italia di riuscire a spegnere i cervelli. Non ce la faranno! Non prevalebunt, come dicono i Vangeli. La nostra passione saprà resistere al piano criminale di chi intende cancellare la cultura viva di questo paese per sostituirla con un addestramento da replicanti.

Un abbraccio forte a tutti voi

Marco Martinelli - Teatro delle Albe

giovedì 10 febbraio 2011

In Principio: il cerchio nell'isola



“In ogni società si vive, ci si ammala, si diventa vecchi, si é soli. Ma una società produttivistica, che si fonda sull'ideologia del benessere e dell'abbondanza per coprire la fame, non può programmare sufficienti misure preventive o assistenziali. Si salva ciò che può essere facilmente recuperato, il resto viene negato attraverso l'ideologia dell'incurabilità, dell'incomprensibilità, della natura umana su cui si costruisce il castello del pregiudizio”.
Così Franco Basaglia, nella prefazione di Asylums di Goffman, alla fine degli anni 60. E' una riflessione importante sull'istituzione totale, sia essa manicomio o carcere. E' una riflessione che ha accompagnato una mia esperienza nel manicomio di Trieste (studentessa dell'Accademia di Belle Arti lavorai con altri colleghi sull'immaginario di alcuni degenti, attraverso la pittura), e che é tornata oggi, con prepotenza, al termine del laboratorio realizzato con un gruppo di detenuti nel carcere Due Palazzi di Padova.
Del pregiudizio, i 14 attori/detenuti hanno parlato al termine del loro spettacolo, il pomeriggio del 5 novembre scorso: “dite a quelli fuori che non siamo bestie”.
In aprile Laurent mi parlò della possibilità di fare un laboratorio all'interno del carcere. “Purché non diventi una moda...” dissi. Ed ero già nel pregiudizio. Era un pensiero freddo il mio, un pensiero che non aveva ancora fatto i conti con: Piero, Josè, Michele, Salvatore, Antonio, Nuccio, Domenico, Edoardo, Florio, Tito, Nicola, Attilio, Gigi, Giuliano. Oggi, per me, non si tratta più di chiedermi se sia di moda o no, oggi si tratta di ritornare dentro, di riproporre ancora laboratori e ancora teatro: con loro, per loro e per noi. Mescolare il nostro bisogno di arte con il loro bisogno di libertà e scoprire che le due cose, molto spesso coincidono. Parlo con la ferita ancora aperta. Perchè  la forza prepotente di questa esperienza è come una ferita. Una ferita che non voglio si richiuda perchè ormai so che molte cose possono essere fatte in nome dell'arte che unisce, che accomuna e che abbatte il pregiudizio. Un'arte che non finisce con se stessa.

Prima pagina da "Il cerchio nell'isola" di Pierangela Allegro, resoconto e riflessioni sulla prima esperienza di teatro in carcere del Tam nel 1992.

mercoledì 9 febbraio 2011

TeatrInGestAzione Gesualdi Trono dal Manicomio Criminale di Aversa

TeatrInGestAzione Gesualdi Trono
dal Manicomio Criminale di Aversa

Il nostro teatro è nudo come un uomo
che non può nulla contro l’onestà
del suo bisogno degli altri.

G | T

Ogni giorno passato accanto ai nostri “ristretti amici” ci pone di fronte alla domanda:

perché portare il teatro in carcere, in manicomio, nei luoghi del disagio e dell’emarginazione?

Cosa importa a noi liberi ed onesti cittadini, dei delinquenti, dei pazzi, dei malati, dei diversi?

Abbiamo già fin troppi problemi in quest’Italia fatta a pezzi dalla politica, dal mal governo, dalla criminalità, dal razzismo, dall’ipocrisia del perbenismo; perché mai dovremmo occuparci di chi costituisce un pericolo e una minaccia alla nostra tranquillità, di chi probabilmente è responsabile di omicidio, di chi ha rubato, insultato, offeso, leso la nostra libertà.
La soluzione più ovvia ci sembra mantenerci lontani dal male, riporlo in strutture adeguate che lo contengano lontano dalla possibilità di turbare le nostre faticose giornate di liberi cittadini onesti. Noi siamo diversi, brava gente, quelli brutti e cattivi non ci appartengono, non sono cosa nostra. Teniamoci lontani! Ma che i palazzi della reclusione restino ben visibili, in modo da sapere costantemente che noi siamo il bene e lì dentro c’è il male, in modo da non avere dubbi di essere fuori, quindi dalla parte giusta.

A ben guardarle da lontano queste strutture ti rimandano il senso dei castelli incantanti delle fiabe, palazzi vittime di malefici, avamposti di draghi cattivi che sorvegliano dall’alto gli abitanti della pianura sottostante, quasi sempre assolata, in contrasto con le nubi e la nebbia permanente che avvolge questi luoghi abitati dal male. Così si convive con l’esistenza di queste strutture nelle nostre città, ci si relaziona soltanto al fuori; si sfugge alla considerazione della vite rinchiuse, assediate dalla nostra normalità e indifferenza.

Ma proprio come succede nelle più belle favole, capita che un buono decida di entrare nel castello per sconfiggere il drago e restare di sasso, stupito, di fronte alla scoperta che il drago non è poi così cattivo come si racconta in città, e che voglia attentare alle vite di tutti gli abitanti dei paesi vicini; anzi, a stare un po’ col drago ci si ravvede sui nostri pregiudizi e si finisce per scendere di nuovo a valle a tentare di convincere gli altri, i buoni, che i draghi siamo noi.

Ma le istituzioni totali, non sono luoghi da favola e difficilmente chi è rinchiuso lì dentro è destinato al lieto fine.
E noi che con i prigionieri ci lavoriamo abbiamo capito che è più facile far diventare buono il drago, piuttosto che abbattere il pregiudizio e l'ignoranza, i veri mostri che assediano la nostra libertà.

E il teatro ha il potere di sconfiggere i mostri, può permetterci di vivere tutti insieme felici e contenti.

Eccoli i draghi che abbiamo incontrato nei castelli incantati dietro alle sbarre: si chiamano Ezio, Massimiliano, Fabio, Fabrizio, Giuseppe, Sergio, Abramo… è lungo l’elenco di questi straordinari attori che s’impegnano per un “teatro necessario”, sono coloro che lavorano per un fine e non per il mezzo.

Non attori per scelta, ma per scoperta. Teatranti per coscienza.
La coscienza di poter esistere pubblicamente, affermarsi sulla scena.

La scena è un amplificatore del "fatto sociale", essi in quanto Socialmente Pericolosi, sono un "fatto sociale", sulla scena essi stessi sono il segno: Il punto di vista estremo che si fa creazione teatrale, per rivelare le crepe in cui si insinua la nostra malattia della normalità.

Ogni loro parola pronunciata pubblicamente è una conquista di libertà: dichiarati “socialmente pericolosi”, sono destinati a suscitare paura o pietà, ne sono coscienti; per questo essi sono NonLiberi: in Manicomio - ci confessano con fiducia - ogni parola, ogni gesto, azione, sguardo, lo misurano bene prima di esprimersi, perché sanno che sono condannati al pregiudizio di chi li cura, li osserva, li gestisce, li detiene: sono in agguato rapporti e relazioni, riesami e "stecche".

Ma in teatro è diverso, Il teatro è l'altrove, in cui le relazioni possono essere vissute senza filtri, in cui il giudizio è sospeso, un luogo da cui ripartire per costruirsi una possibilità di vita oltre le sbarre: la scena è il futuro a portata di mano.

Sovvertire il concetto di Pericolosità Sociale è l’azione che sta alla base della formazione della compagnia stabile di attori internati nell’OPG di Aversa. Non ci occupiamo di eliminare il concetto di pericolosità sociale, ma di riqualificarlo; non vogliamo sopprimere la reazione ad uno stato di cose che provocano sofferenza, o dissenso, ma dargli una nuova direzione, quella di un ‘teatro necessario’, che reagisce alle urgenze del suo tempo, aprendo nella scena uno spazio di con-senso (condivisione del senso) e dis-senso (pubblica indignazione e critica condivisa e manifesta). In questo modo il concetto di pericolosità sociale acquista un valore positivo, ovvero con lo spettacolo gli attori si assumono il rischio della libera espressione che può con forza sovvertire l’equilibrio sociale basato sul pregiudizio.

A questo proposito, riportiamo un messaggio scritto da uno degli attori della compagnia, Ezio:

“Per me, con il mio passato di ribellione agìta verso gli altri e verso me stesso, il teatro è stato una grande scoperta. Pur non avendo le doti di un attore ho potuto raccontare me stesso, creare attenzione verso condizioni di profondo disagio sociale. Mi sono reso conto come non già attraverso l'uso della violenza, con le armi, come era mia prassi, ma con il teatro, il dialogo, l’incontro con il pubblico, si possa fare una rivoluzione, in sé stessi e nel pensiero degli altri. Tutto questo crescendo moralmente e sperando di creare coscienza condivisa.”

Una compagnia stabile di Attori Non Liberi
La Compagnia Stabile formata dai registi Gesualdi | Trono e dagli attori – internati dell’OPG di Aversa, ha preso vita nel 2006 con un progetto su Aspettando Godot, e da allora non ha mai interrotto la sua attività di produzione. Stabile può ben dirsi anche se i suoi elementi cambiano ad ogni sopraggiunta liberazione! Stabile perché tale è il progetto e il lavoro che conduciamo nel Manicomio Criminale di Aversa; perché resta un punto di riferimento per gli internati che decidono di partecipare all’attività con “quelli del teatro”. Diversi e importanti i risultati ottenuti e degni di rilievo, raggiunti dalla compagnia nel brevissimo tempo di soli 4 anni dalla sua nascita; essi sono la prova dell'indubbio valore dell'attività condotta e speriamo che possa continuare in accordo con le istituzioni, affinché possa migliorarsi e rappresentare un esempio stabile di possibile riabilitazione e reinserimento. Con gli spettacoli Noi Aspettiamo (Godot?), LA GIOSTRA ovvero L`eccezione E’ la regola, Fratello Mio, Caino!, la compagnia dell`OPG calca le scene del Teatro Stabile Mercadante di Napoli e del Teatro Stabile d’Innovazione Galleria Toledo, e partecipa a XXIX Benevento Città Spettacolo - Benevento; Teatri delle Diversità X e XI convegno internazionale – Cartoceto/Urbania; Edge Meeting – Milano; Il Carcere Possibile (07 08 09 10). E viene chiamata, insieme ad altre realtà tra le più importanti del settore, a costituire il primo coordinamento nazionale di Teatro e Carcere. L´impegno artistico e pedagogico di Anna Gesualdi e Giovanni Trono all'interno del Manicomio Criminale di Aversa è documentato nel volume Recito, dunque so(g)no (Edizioni Nuove Catarsi) ed è oggetto di una tesi in riabilitazione psichiatrica nel 2008, presso la facoltà di Medicina e Chirurgia della II Università degli Studi di Napoli.

BUONA r-Esistenza a TAM TEATROMUSICA

con affetto e condivisione

Anna Gesualdi
Giovanni Trono

martedì 8 febbraio 2011

6 DENTRO - CD ROM Art Game di Teatrocarcere

art game di Teatro Carcere
2000

di Michele Sambin e Guendalina Vigorelli
direzione artistica disegni e musiche Michele Sambin
grafica e direzione lavori Guendalina Vigorelli
testi Pierangela Allegro
animazione Luca Fornaciari-Marco Serpieri
programmazione Luigi Rosi
post produzione video Raffaella Rivi
video Giacomo Verde
voce fuori campo Davide Tardivo
con i detenuti del Carcere di Padova

Realizzato con il contributo del progetto CEE Caleidoscopio

L'inizio è una condanna. 6 anni di carcere da scontare simbolizzati da 6 ambienti da attraversare. Ciascun anno-ambiente ha come riferimento uno spettacolo di Tam Teatrocarcere sia dal punto di vista dei contenuti che dei materiali visivi e sonori. In ciascun ambiente si aprono dei sottoambienti che richiedono delle azioni da compiere, degli elementi da scoprire, delle scelte da fare per poter procedere. Una volta scoperto e agito un ambiente nella sua totalità si apre la strada al successivo. La fine è uscire. è riprendersi la libertà.

Primo anno-ambiente il cerchio nell'isola (1993)
Per mancanza di risorse finanziarie il progetto non è stato completato.
Qui è riportata una registrazione video della completa navigazione del CD-ROM