domenica 20 febbraio 2011

CHIARA TESTIMONIANZA

Ciao Cinzia,
ho trovato il tuo appello sulla mia mail e ovviamente mi sono iscritta al blog. Non credevo che dopo i passi avanti fatti in questi anni togliessero i fondi per una cosa così fondamentale come il teatro carcere. Si crede di risparmiare tagliando i "privilegi" a chi, per qualcuno, non dovrebbe averne. Ma ciò che si risparmia verrà a reclamarci. Quello che si perde è la possibilità di un altro sguardo sul mondo: che diamo a queste persone e che lavorando con loro regaliamo anche a noi stessi e a chi ha la voglia di guardare oltre. Il teatro è un mezzo privilegiato per venire a contatto: attraverso l'uso del corpo, l'abbattimento delle barriere fisiche, il lavoro sulla fiducia, l'utilizzo di un linguaggio profondo tratto dai ricordi che emergono e non si chiamano con la ragione ma si fanno chiamare dal corpo, è in grado di demolire, giorno dopo giorno, le sbarre che ognuno ha innalzato dentro di sè. Carcerati e non.
L'esperienza che io ho fatto, piccola e limitata purtroppo, è una delle più belle che mi porto dentro. Nell'incontro con Maher, Farid, Aziz e gli altri ho sentito le potenzialità del teatro espandersi in tutta la loro forza semplice, immediata, grezza e per questo pura. Siamo stati uomini e donne consapevoli che la nostra storia fosse diversa eppure comune per certi aspetti, con la voglia di metterla in circolo e di unirla nella bellezza della diversità, per farne qualcosa d'altro, nuovo anche a noi stessi. Ho avuto la fortuna di lavorare con loro sia fuori che dentro il carcere, e di vedere cosa significa essere nel proprio territorio e attraversare quello dell'altro, che emozioni da, cosa fa cambiare dentro. L'entrata in carcere, con ogni porta che si apre dopo che quella dietro di te si è chiusa, fatta di mille piccole regole da rispettare, è una cosa che non dimentico, così come quanto dentro la stanza messa a nostra disposizione, ci sono stati attimi in cui siamo usciti da quella catena di sbarre. Sono frammenti, minuscoli a volte, altre meno... ma l'uno dopo l'altro costituiscono i passi di una nuova consapevolezza e di una speranza. Che non viene dal pensare a cosa si farà dopo ma a chi si vuole diventare,e a cercare di esserlo giorno dopo giorno, un piccolo frammento per volta, perchè anche una scheggia sia fonte di esperienza.

Questo è ciò che ti volevo dire, dal profondo del cuore. Se pensi che possa essere utile postalo pure nel blog, spero tanto che l'esperienza del teatro carcere non finisca così. Io ne ho sempre avuto e continuo a da averne un ricordo di una forza esplosiva. Nel mio piccolo bagaglio di vita teatrale posso dire che mai come nelle situazioni di marginalità ho visto l'utilità del teatro, che è sempre "utile" se si può usare questo termine nell'arte, quando c'è una vera apertura, ma che forse proprio per quell'agire in un tessuto che non prevede egocentrismi, difese, aspettative, confronti, riesce a tirare fuori della bellezza pura, perchè senza enfasi. Sono quasi 2 anni che faccio un laboratorio con i disabili, totalmente diverso dal carcere, ma anche lì vale lo stesso. Teatro come gioco, come uscire da sè, come mettere in circolo, come darsi senza chiudersi. Bellissimo.

Ti mando un abbraccio forte, tienimi aggiornata sulla situazione.

Chiara

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